Il secondo rapporto, a cura dell’UFAM, si occupa di un monitoraggio sistematico delle immissioni della radiotelefonia mobile. Non si tratta quindi di considerazioni teoriche ma di misurazioni concrete, che permettono di capire chi ha davvero ragione in questo dibattito. I ricercatori hanno analizzato 15 milioni di punti di misura. Le misurazioni sono state eseguite in 70 località svizzere suddivise in nove diversi «microambienti», da quelli fortemente rurali a quelli fortemente urbani.
Gli esperti hanno effettuato misurazioni lungo determinati percorsi e in luoghi prestabiliti, giungendo alla conclusione che i margini consentiti dai valori limite sono ben lungi dall’essere pienamente sfruttati. Citiamo testualmente da pagina 56: «Le intensità di campo misurate [...] hanno raggiunto un massimo di circa il 15% del limite di immissione nelle aree accessibili al pubblico, mentre nella stragrande maggioranza dei casi si sono attestate su percentuali a una sola cifra. Nelle abitazioni private misurate finora [e per cui il valore minimo d’impianto è 10 volte più stringente, ndr], lo sfruttamento massimo del valore limite di immissione è stato inferiore al 4%».
I critici potrebbero forse contestare che in questo primo rapporto i dati relativi alle abitazioni sono ancora limitati. Il rapporto evidenzia però anche un’altra cosa, cioè che siccome le attuali procedure prevedono margini di sicurezza multipli, è inevitabile che i segnali radio vengano notevolmente sovrastimati nei calcoli, il che fa sì che i valori reali risultino ben al di sotto dei limiti teoricamente sfruttabili.