L’azienda svizzera RepRisk valuta i rischi ESG delle aziende unendo l’intelligenza artificiale con l’expertise umana. In questa intervista, il CEO e co-fondatore di RepRisk, Philipp Aeby ci spiega come questa collaborazione si realizza concretamente e perché la competenza umana è fondamentale per il successo dell’intelligenza artificiale.
Come possono gli investitori e le aziende identificare i rischi per la reputazione che si celano nel loro portafoglio o nella loro catena di produzione? I rischi ESG (Environmental, Social and Governance) sono fattori che, oltre a dover essere documentati secondo le normative vigenti, rivestono anche un ruolo cruciale nelle decisioni di investimento. Per una valutazione realistica occorrono dati neutri e un sistema in grado di valutare automaticamente questi enormi volumi di dati. La sfida perfetta per l’intelligenza artificiale e per RepRisk.
Philipp Aeby, di cosa si occupa di preciso RepRisk?
Analizziamo i comportamenti delle aziende in relazione ai fattori ESG e i rischi ad essi connessi. In particolare, vengono misurate e valutate performance in materia di inquinamento ambientale, diritti umani o corruzione. Questi dati sono necessari per redigere un rapporto di due diligence, ad esempio sui clienti di banche, società di portafoglio amministrate da gestori patrimoniali o fornitori di multinazionali.
Tra i nostri clienti più importanti ci sono gli istituti finanziari che vogliono avere informazioni sul partner commerciale, il fornitore o l’investimento. Le parole chiave in questo caso sono: identificazione e prevenzione dei rischi per la reputazione.
I fattori ESG stanno diventando sempre più importanti, anche a seguito di nuove regolamentazioni e leggi. Ha sicuramente avuto una buona intuizione con i suoi servizi?
Devo fare un passo indietro. Nella prima fase del 2006, il servizio era di natura prettamente tecnica e veniva utilizzato da credit officer e risk officer operanti nel settore bancario. La domanda era allora guidata dagli standard della Banca Mondiale degli anni novanta.
Solo dopo gli investitori hanno cominciato a interessarsene. Già nel 2008 siamo riusciti ad acquisire il nostro primo investitore, che ha investito in oltre 9000 aziende. Voleva sapere quali fossero coinvolte nel lavoro minorile o in accuse di corruzione. Ma era ancora un argomento di nicchia. Il boom è arrivato solo con gli investimenti sostenibili, l’ESG Investing.
Oggi, quando un’azienda parla di ESG o sostenibilità, deve dichiarare i propri intenti. E questa è la terza fase in cui le aziende hanno bisogno dei nostri dati. Ne siamo entusiasti, perché oggi le promesse non bastano più: sono necessarie azioni concrete che, in ultima analisi, vanno a vantaggio di tutti gli operatori del mercato.
Ecco perché guardiamo al futuro con ottimismo. In primo luogo, ci sono sempre più leggi che regolano il modo in cui le aziende gestiscono la propria attività. Allo stesso tempo, si stanno verificando sviluppi tecnologici che porteranno a una maggiore trasparenza e, di conseguenza, a un progresso in termini di sostenibilità.
Data la sua esperienza professionale, non era affatto scontato che decidesse di avviare un’impresa che valuta il rischio per la reputazione delle aziende. Come è nata l’idea?
Devo dire che c’è stata anche una buona dose di fortuna. Essendo climatologo e fisico ambientale, inizialmente vedevo il mio futuro orientato verso il mondo accademico. Tuttavia, per motivi personali, ho deciso di cambiare direzione e orientarmi verso il Consulting, invece di proseguire con attività di ricerca negli Stati Uniti come post-dottorato.
È stata senza dubbio un’esperienza stimolante e ha ampliato i miei orizzonti, ma non corrispondeva del tutto alle mie aspettative. Per questo sono passato a una grande azienda farmaceutica americana. Lì ho imparato molto, ma non era ancora quello che cercavo. Poi, nel 2005, ho saputo di una piccola società di consulenza in Svizzera che stava discutendo con una grande banca su come migliorare la due diligence per le quotazioni in borsa. L’idea era quella di utilizzare i dati per scoprire, ad esempio, disboscamenti illegali e certificati FSC falsificati e includere tali informazioni nei documenti dell’IPO, al fine di evitare ulteriori azioni legali.
Questa idea visionaria della banca mi affascinava. Ho capito subito che avrei voluto costruire qualcosa in questo ambito. Creare trasparenza è un concetto che mi ha sempre interessato, perché, in fondo, porta le aziende a un approccio più responsabile verso le persone, i propri collaboratori e l’ambiente.
Quali dati utilizzate per le vostre analisi?
Analizziamo molti fenomeni, dei quali tanti molto gravi, come il disboscamento illegale o l’inquinamento dell’Amazzonia. Per questo motivo, fin dall’inizio, abbiamo sottolineato la necessità di avvalerci di fonti indipendenti dalle aziende coinvolte, come articoli giornalistici o rapporti di ONG e autorità governative: oggi analizziamo circa 150’000 fonti.
In questo modo possiamo accorgerci in poco tempo se una determinata situazione si sta aggravando. Ce ne accorgiamo, ad esempio, quando un giornale locale parla di una nave negriera nel settore della pesca in Thailandia e anche il «South China Morning Post» riprende la notizia. Questo lo chiamiamo «escalation della fonte». Sono segnali di allarme precoci di fondamentale importanza per i nostri clienti, che consentono loro di agire rapidamente.
Elaborate una grande quantità di documenti in lingue diverse. Come riuscite a trovare le informazioni rilevanti?
Elaboriamo circa 2,5 mio. di documenti al giorno in oltre 20 lingue. Inizialmente, abbiamo i fatto ricerche all’interno dei testi per parole chiave, ad esempio «lavoro minorile». Inoltre, abbiamo verificato se venissero citati o meno nomi di aziende o progetti di infrastruttura. Abbiamo quindi esaminato i documenti anche alla ricerca di parole chiave come «miniera di carbone», «fabbrica» o «costruzione di strade». Infine, nel documento doveva anche essere presente un sentiment negativo. Per questo tipo di analisi linguistica esistevano già buoni algoritmi nel 2007.
La nostra fortuna è stata che nel corso degli anni abbiamo etichettato decine di migliaia di documenti, che vanno dalla perdita di biodiversità al lavoro forzato, al riciclaggio di denaro sporco. E questo anche in lingue come il thailandese, il portoghese e il cinese. Abbiamo quindi avuto a disposizione dati di buona qualità per allenare i nostri modelli. Questo ci permette oggi di identificare e classificare i rischi in modo molto preciso.
Alleniamo i nostri modelli per un compito specifico e li utilizziamo sui nostri sistemi. Al contempo, combiniamo i nostri dati di addestramento con gli LLM (Large Language Model). Grazie a questo cosiddetto fine-tuning, i nostri modelli acquisiscono maggiore precisione e qualità, poiché si basano sull’esperienza umana. È davvero affascinante.
Sicuramente richiede un grande know-how. Come vi assicurate di avere le competenze necessarie?
Facciamo tutto da soli. Da sempre disponiamo di know-how in materia di big data, con un’ esperienza comprovata nello sviluppo di software e nel data engineering. Inoltre, abbiamo creato un team di Machine Learning Engineer e Data Scientist. Fin da subito, abbiamo capito che era fondamentale unire l’intelligenza umana a quella artificiale per poter gestire grandi volumi di dati e garantirne la qualità.
Se ce l’abbiamo fatta, è anche grazie alla community, all’interno della quale tutti condividono le proprie conoscenze. Questa condivisione di know-how ci permette di realizzare un numero incredibile di sviluppi in completa autonomia. È significativo il fatto che nel nostro team abbiamo ancora più sviluppatori di software che ingegneri di machine learninig.
Tuttavia, la verifica finale dei risultati rimane ancora un compito umano. Qual è il ruolo di questi analisti?
Gli analisti verificano se i modelli interpretano correttamente un testo. Ad esempio, se un giornalista di Wallstreet parla dell’insediamento del presidente Trump, menzionando un caso di corruzione e un controesempio positivo, l’intelligenza artificiale potrebbe interpretare anche il controesempio positivo come un caso di corruzione. Il compito degli analisti è di identificare interpretazioni errate come questa e prevenire le allucinazioni dell’intelligenza artificiale.
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Chi è RepRisk
L’azienda, attiva a livello globale e con sede centrale a Zurigo, gestisce la più grande banca dati sui rischi ESG, aggiornata quotidianamente, e vanta una storia alle spalle di 18 anni. RepRisk combina l’IA e l’apprendimento automatico avanzato con l’expertise umana per identificare e valutare i principali rischi ESG in aziende, asset reali e Paesi. L’azienda è guidata dal CEO e co-fondatore Philipp Aeby. Al Prix SVC di Zurigo 2024, RepRisk ha conquistato il terzo posto, sponsorizzato da Swisscom.